Stavo leggendo l’articolo di Patrizio Ruviglioni su la Repubblica e, leggendo tra le righe, noto che ci sono fondamentalmente due grandi preoccupazioni per quanto riguarda i videogiochi delle nuove generazioni di giovani: l’emulazione della violenza e l’abuso.
Videogiochi violenti
Un aspetto di rilievo nelle discussioni sui videogiochi riguarda le preoccupazioni legate alla violenza rappresentata in alcuni titoli e alla possibile emulazione di tali comportamenti da parte dei giovani. Questo dibattito ha radici profonde, risalendo a trent’anni fa quando si iniziò a temere che i giochi violenti potessero influenzare negativamente i comportamenti di bambini e adolescenti. Tuttavia, la relazione tra la violenza virtuale e la violenza reale è un terreno complesso e questi due mondi sembrano difficilmente sovrapponibili. Già a 3 anni un ambino è capace di distinguere tra realtà e finzione. Crescendo poi si sviluppa un senso critico verso ciò di cui facciamo esperienza. In altre parole un’emulazione secca sembra difficile. Le ricerche in materia non hanno fornito conclusioni definitive, e molteplici fattori influenzano il modo in cui i giovani interpretano e reagiscono a contenuti violenti nei giochi. È fondamentale adottare un approccio olistico, considerando anche l’educazione, l’ambiente familiare e l’accompagnamento genitoriale come fattori cruciali nella formazione delle attitudini dei giovani verso la violenza.
Abuso di videogiochi
Parallelamente, le preoccupazioni sull’abuso dei videogiochi sono divenute sempre più rilevanti. In effetti emerge un quadro chiaro di come i videogiochi abbiano negli anni guadagnato sempre più spazio nelle nostre menti e si siano presi sempre più tempo nelle nostre vite. Dagli anni ’80 quando i giovani si ritrovavano in sala giochi per passare qualche ora alla settimana, tra amici, ai temi moderni nei quali non è raro che le persone passino 2-3 ore al giorno davanti allo schermo del PC, di una console o del proprio smartphone. La crescente dipendenza dai giochi ha sintomi chiari e si manifesta spesso attraverso il disinteresse per gli impegni scolastici, la socialità e persino la salute fisica. Si tratta di un fenomeno di grande allarme. L’introduzione del “gaming disorder” come categoria nel manuale internazionale di classificazione delle patologie ha sottolineato la gravità di questo problema e la sua diffusione crescente. I giovani, soprattutto maschi, sembrano essere particolarmente vulnerabili. Tuttavia, è essenziale evitare semplificazioni: il ruolo dei videogiochi nella vita dei giovani può essere influenzato da variabili psicologiche, sociali ed emotive. La responsabilità è condivisa tra le case produttrici, che devono regolare le pratiche di coinvolgimento, e le famiglie e la società nel loro complesso, che devono promuovere un uso consapevole e bilanciato dei videogiochi.
Conclusioni
In conclusione si rendono secondo me necessarie due pratiche: una presenza più solida dei genitori nella vita digitale dei figli e una maggiore trasparenza e moderazione da parte delle case produttrici di videogiochi.
Per quanto riguarda il primo punto i genitori devono assistere i figli, ed educarli ad un utilizzo sano e consapevole dei giochi elettronici. Dando la giusta priorità al dovere prima che allo svago e bilanciando lo svago elettronico con altre attività sane, come lo sport e altre forme di interazione gruppale con i coetanei.
Per quanto riguarda il secondo punto, invece, credo che le aziende che fanno videogiochi dovrebbero arrivare all’onestà intellettuale come traguardo morale. Non è raro infatti che giochi più o meno blasonati facciano leva su meccanismi psicologici (come il rinforzo intermittente) per far trascorrere al giocatore il maggior numero possibile di tempo davanti allo schermo. Se da un lato vi è l’indubbia necessità di fatturare e l’esigenza di soddisfare gli azionisti, è chiaro che si debba trovare un compromesso.